CRITICA
Qui trovate una rassegna di commenti relativi ai lavori e
alle mostre di Dino De Simone
HANNO SCRITTO SU DI LUI: Luca Cardani, Daniele Vitale, Marco Biraghi. Lorenzo Forges Davanzati, Cris Bono. Vittoria Ceriani, Paolo Rizzi, Simonetta Cini, Marcello Staglieno, Carlo Capponi, Walter van Teeffelen
La città della pittura
Sotto il tumulto della città, degli edifici, dei cantieri, e il dipanarsi delle strade e l’accatastarsi degli oggetti; sopra, sollevata in cielo come un acquedotto o come un ponte, la lunga casa bianca che vuol essere idea della casa e emblema dell’architettura. Il Gallaratese che Rossi rappresenta nei disegni, rimane sospesa sopra i grovigli della vita e le trame della geografia. È una figura originaria. Nasce dalle case di ringhiera abitate dalla povertà, ma anche dal candore delle stecche dell’architettura razionale. Affonda nelle memorie della città e ha la forza icastica dell’idea. Si costituisce come figura pittura pittorica e per questo l’amano i pittori. Per questo l’ama anche Dino de Simone. Dino lo mescola e confonde con altre architetture bianche. Bianche erano le grandi costruzioni con cui Piero Bottoni segnava le città. Per paradosso, diceva di amare e prediligere i colori. (…).
È pittura letteraria, la sua, e della letteratura possiede il respiro. Nasce dalle parole di Rossi e dai quadri di Braque (…) È inafferrabile la città: è fatta di infinite compresenze, costituita da ciò che in essa riconosciamo e che il quadro ricompone.
Daniele Vitale
docente di composizione architettonica al Politecnico di Milano
L’autenticità è nel riferimento
Il tema della periferia è sempre accompagnato da un senso di necessità, come per un problema irrisolto che non si può - anche se in molti ci provano - dimenticare. Le periferie sono “i retrobottega delle metropoli contemporanee”, dove sono depositati i rifiuti del progresso e per questo i luoghi in cui è possibile trovare ancora un briciolo di umanità.
È inutile citare i capolavori della storia dell’arte e del cinema neorealista che hanno osservato e scelto le periferie delle città come scena essa su cui raccontare la commedia della vita degli uomini.
Proprio nel cinema esiste ancora una sorta di tradizione per cui esser capaci di “rubare” i segreti dai maestri e farli propri è considerato un atto di talento ma anche di devozione. In architettura e in pittura invece, almeno a giudicare da ciò che viene prodotto ultimamente, sembra prevalere un’opposta volontà di dimostrarsi gli unici e senza padri, con l’esatto opposto del “copiar male”, nascondendo le proprie fonti ma anche la propria identità.
Questa serie di opere e studi di Dino De Simone ci dimostra invece che è possibile interrogarsi sui lasciti dei maestri del Novecento e ciò nondimeno conservare una propria autenticità.
I riferimenti nei suoi quadri narrativi non sono mai celati bensì evidenti come veri e propri frammenti. Le distorsioni che essi subiscono sono necessarie a preservare questa autenticità, a farle entrare in connessione con altri referenti, per costruire il quadro e il suo significato.
Qualcuno accuserà di esser nostalgici nel rivedere alcuni riferimenti ossessivamente ripetuti, ma si sbaglia, perché forse oggi, di fronte all’inconsistenza di molte opere milanesi contemporanee, le cui idee hanno radici tanto corte quanto i vasi che le accolgono, l’unico modo per esser moderni è proprio stare silenziosamente in retroguardia a costruire un terreno comune di senso per tutto ciò che ancora non c’è, ma che dovrà avvenire.
Luca Cardani, 2017 - PhD. Arch.
L’intramontabile caducità della città de gli uomini
Nella serie di opere che Dino De Simone ha dedicato alla città di Urbino gli oggetti che compaiono – mura, torri, archi, ma anche aquiloni, caffettiere, scacchiere, tra di loro variamente
disposti, mescolati, stratificati – non sono niente affatto casuali: sono forme significanti. È il lavoro della memoria che le ha fatte incontrare su quel piano – un piano inclinato come quello su cui giace Urbino, e come questo sovrastato dalla Fortezza Albornoz, fedele scudiero in laterizio che monta la guardia al suo padrone altresì di mattone.
Ma vi è un altro elemento ricorrente in questi disegni a inchiostro, sanguigna e acquarello: il sole che, al pari di un disco carnoso di colore ogni volta diverso, occupa la parte alta dei fogli; un sole
in posizione sempre calante, che però mai tramonta. A prima vista potrebbe sembrare un semplice elemento del paesaggio; ma a ben guardare si rivela essere qualcosa di più. Nel disegno intitolato Rinascimento 2, esattamente come nelle raffigurazioni infantili, il sole spande tutt’intorno i suoi raggi; uno di questi arriva a congiungersi a un uovo pendente al di sopra di un edificio a pianta quadrata, sulla copertura piana del quale è tracciato uno schema geometrico multiradiante che riprende quello del sole. In un altro disegno l’uovo è incastonato nella finestra centrale di un edificio; e in un altro ancora galleggia sopra il semicerchio vetrato della Facoltà di Magistero di Giancarlo De Carlo, anch’essa a Urbino. La congiunzione con l’uovo del sole illumina il significato di quest’ultimo, ben al di là della sua apparente “naturalità”: l’uovo in questione è infatti quello stesso che pende misteriosamente al centro della scena della grande pala commissionata a Piero della Francesca da Federico da Montefeltro, Duca di Urbino. (…)
Se l’uovo – così come il sole – è simbolo evidente dell’ordine cosmico, è proprio la presenza di questo a rendere significative a loro volta le forme transeunti dell’uomo: il loro divenire, il loro accumularsi – la loro vita – come qualcosa di apparentemente confuso, casuale, che tuttavia difficoltosamente
ma tenacemente resiste, e dura.
Marco Biraghi
Docente Facoltà di Architettura al Politecnico di Milano
L’angelo con la valigia a Berlino
Dino De Simone si avvicina allo studio di Berlino e ne ricostruisce lentamente la “forma urbana”, rappresentata in “scena urbana”.
Più che alla città in sé, nella sua unicità, il punto di vista è rivolto all’Architettura della Città come manufatto, composto di parti, comprensiva di tutte le tracce rinvenibili, ma anche di quei legami in assenza coi suoi elementi perduti.
In questo vi è una prima analogia con “L’Angelus Novus” di Walter Benjamin, citato in più disegni: lo stesso viso rivolto verso la catena di eventi del passato cui dare senso nel pre-ente, lo stesso interesse per le parti, i processi e i modelli dell’architettura, ed anche la stessa “frammentarietà”, come tipo di scrittura testuale, in cui la tecnica del montaggio di impressioni, idee, citazioni e riferimenti, nel loro accostarsi lasciano emergere significati inediti.
La figura di Walter Benjamin, citato letteralmente in alcune scene accompagnato dalla sua valigia scura, contenente il disegno di Paul Klee “Angelus Novus”, quasi un simbolo che evoca il bagaglio della memoria, è una sorta di analogo dell’autore stesso delle opere. Entrambi viaggiatori solitari nell’architettura della città, attraversando gli höfe berlinesi, luoghi che conservano nel rapporto tra spazio pubblico e privato il carattere costitutivo della città europea, alla ricerca instancabile di un senso per l’esistenza umana all’interno della metropoli moderna e dei suoi significati più profondi.
Significati e sensi che vanno forse cercati proprio nella capacità della memoria di scavare nella storia e stringere legami tra i frammenti, riportandoli ad un ‘logos’, ad una ‘forma’, che ne conservi tuttavia il loro carattere singolare.